La Battaglia di Argentorate, 357 d.C. – G. Lipari
30 Ottobre 2007
La Cavalleria pesante tardo Romana – C. Antonucci
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La conquista della Spagna – M. Colombelli

Annibale trovò le tribù celtiche bellicose e ben armate. La cavalleria e fanteria dei Celti Spagnoli, o Celtiberi, reclutate dalle armate cartaginesi si dimostrarono un grande vantaggio nelle vittorie cartaginesi. Le armi con le quali i Celtiberi si opposero ai Romani, riflettevano lo stato avanzato della metallurgia. I guerrieri portavano una spada corta a doppio taglio di ferro temperato, alloggiata in una custodia di cuoio o legno. I romani, impressionati dalla qualità di queste armi, le chiamavano “gladius hispaniensi” o spade spagnole. La stessa parola latina “gladius” era derivata probabilmente dalla parola celtica “clada”, spada. A dimostrazione di ciò, nel 209 a.C. Scipione il Vecchio addestrava le legioni romane con le armi spagnole, che erano adatte per il combattimento ravvicinato nelle foreste, montagne e scarpate della Spagna.
I Celti avevano anche una lancia con punta di ferro che essi chiamavano “lannsa” , sulla quale legavano una bandiera (uno straccio) inzuppato della resina dei pini e poi lo incendiavano. I romani adattarono questa lancia per gli usi specifici della propria fanteria leggera. I guerrieri Celtiberi usavano anche un’ascia ed una spada a falcetto della “falcata”.
Nel 218 le colonie greche della Spagna del Nord-Est chiesero a Roma di intervenire per conto loro contro i cartaginesi che avevano occupato le loro terre. Nel periodo tra il 218 e il 202 a.C. (Seconda Guerra Punica) Roma inizia un processo di lento insediamento trasformando, innanzi tutto la città di Tarraco, in una base permanente e sconfiggendo le truppe cartaginesi in numerose battaglie (Cesse nel 218, Castulum, Giscona e Magon nel 212, Ilipa nel 207) ed occupando numerose città (Sagunto nel 215, Nova Carthago nel 209, Auringis nel 207, Iliturgi e Gades nel 206).

Negli anni seguenti la sconfitta di Annibale a Zama (202 b.C.) i romani consolidarono la loro presenza nelle regioni costiere del sud e Nord-Est a lingua greca e punica. In particolare erano insediati in due aree: quella meridionale lungo la costa mediterranea ed atlantica (Gades) e centrale sulla fertile valle del Baetis (Guadalquivir); e quella settentrionale a Nord dell’Ebro, con tutta una serie di occupazioni lungo la costa (Tarraco, Nova Carthago). I romani si trovarono di fronte ad una complessa e frazionata realtà tribale: società guerriere rette da aristocrazie, con servi fedeli e devoti con i quali era possibile un rapporto clientelare. Per questa ragione, al contrario di ciò che avvenne in Oriente (Grecia) dove la sconfitta delle città stato si risolveva di solito in un’unica battaglia, in Spagna si trattò di una lunga guerra infuocata, ininterrotta, sfuggente (trattati e periodi di pace alternati a momenti di infuocata e inumana repressione).

Alcune tribù celtiche avevano salutato l’arrivo dei romani come liberatori dal giogo cartaginese, e come opportunità di ingresso all’interno della sfera di influenza romana. A Nord delle montagne della Sierra Morena e a Ovest della valle del fiume Ebro, le tribù celtiche rimasero indipendenti e fieramente determinate a difendere le loro tradizioni e la loro libertà. Nel 197 a.C. la Spagna fu divisa in due province (Citeriore ed Ulteriore) divise dal Saltus Castulonensis (la Sierra Morena).
Nel 195 a.C. diviene console Marco Porcio Catone e pretori P. Manlio (Ulteriore) e Claudio Nerone (Citeriore) che proseguono l’opera di consolidamento della presenza romana in Spagna sottomettendo numerosi popoli (Ausetani ,Bargusi, Edetani, Suessetani).
Nel 194 a.C. Catone organizzò una politica di pagamento di tributi a Roma da parte delle miniere di ferro e argento dell’entroterra. Come gli spagnoli più tardi saccheggiarono i preziosi metalli dalle Americhe, così fece Roma con la Spagna.
Nemmeno Catone pensava, apparentemente, alla sistematica conquista dell’intera penisola iberica, fatta di aspre montagne con densi boschi e fiumi non transitabili o scarsamente navigabili. Nondimeno, nella parte orientale dell’Iberia, il generale romano L. Emilio Paolo, combatteva una tribù chiamata Lusitani (la latinizzazione del termine celtico Lusateineil, che significa “brulicanti di coraggio”). Dopo il pagamento di una grande quantità di oro, Paolo decretò che i lusitani potevano mantenere le loro terre, ma solo fino a quando “il Senato e il Popolo di Roma l’avessero concesso”.
Dopo il 180 a.C. i feroci scontri tra Romani e Celti continuarono. Tre governatori romani furono uccisi in azioni, mentre quattro altri reclamarono il trionfo sui Lusitani e altre tribù Celtibere. Nel 176 a.C. T. Sempronio Gracco aveva esteso il controllo romano sino a Calagurris (poi Calahorra, il luogo dell’eroe spagnolo El Cid). Come saggio governatore, Gracco offrì sistematicamente la cittadinanza romana come chiave per aumentare le truppe dell’esercito romano, e formalmente impose tassazioni che costringevano, per la prima volta, molte tribù a pagare un tributo monetario. Egli, inoltre, impose la vicensima, una tassa del 5% su tutti i raccolti di grano. Un periodo di relativa pace durò sino al 154 a.C.

Alla fine, nella seconda metà del secondo secolo a.C., i capi celti cominciarono a riunire le tribù nel tentativo di ricacciare i romani dalla penisola iberica. Il più famoso di questi era Viriato, che guidò i Lusitani e i Vettoni in una rivolta contro i romani nel 155 a.C. uccidendo 6.000 soldati, quasi l’intera guarnigione della Spagna meridionale. Il governatore romano Lucio Mummio (che nel 146 a.C. distruggerà Corinto) raccolse le rimanenti forze romane e le guido contro i lusitani. Era l’inizio della guerra lusitana (155-138 a.C.). Nel nord della Spagna, accadeva uno degli avvenimenti più importanti. Meno famoso di Viriato, ma in un certo senso più affascinante fu l’enigmatica figura del capo chiamato Caros, che riunì le tribù celte della Spagna centrale contro le potenti armate del console Q. Fulvio Nobilio, che al contrario della tradizione, fu eletto console il 1 Gennaio 153 a.C. e non il 1 Marzo (il calendario romano chiamava i mesi di Settembre, Ottobre, Novembre e Dicembre in tale modo perché erano il settimo, ottavo, nono e decimo mese). Caros fu responsabile del cambiamento del calendario e della costituzione romana. Come risultato di questa accelerata nomina a console, Nobilio con le sue armate arrivò in Spagna prima che Celti e Romani li aspettassero, e marciarono in profondità nel territorio, sorprendendo i celti di Segada prima che essi potessero terminare la fortificazione della città.

Caros voleva evitare di affrontare i romani in una battaglia campale alle frontiere delle province, preferendo invece trascinare Nobilio nei fitti boschi interni. I Segadi trovarono rifugio presso la tribù sorella degli Arevaci di Numanzia, la quale cittadella era considerata imprendibile. Nobilio avanzava da Nord attraversando il fiume Duero per la via di Almazan. Le forze dei celti, guidate da Caros, che ammontavano a circa 20.000 uomini con meno di 1.000 cavalieri, tesero un’imboscata ai romani nelle foreste delle colline della Castiglia. Nell’imboscata furono uccisi dai celti oltre 6.000 legionari dell’avanguardia romana, e poi gli stessi attaccarono le forze rimanenti. Prima di riuscire a disingaggiarsi, Nobilio soffrì perdite tra i 10.000 e i 12.000 uomini, circa il 40% del suo esercito. Da allora, il 23 Agosto fu designato come un “dies aster”, un giorno sfortunato, e nessun comandate romano ingaggiava in combattimento le sue truppe volontariamente. Tragicamente per i celti, le ultime riserve della cavalleria romana caricarono per salvare le retroguardie romane e Caros fu ucciso la sera del 23. Caros aveva ottenuto una grande vittoria, comparabile a quelle di Annibale, ma la sua morte impedì ai celti di seguirlo nel suo trionfo. I celti, riuniti in un concilio a Numanzia elessero due nuovi capi, Ambo e Leuco. Nobilio, avendo per un pelo evitato la distruzione delle sue armate, si rifugiò all’interno del proprio capo fortificato, in attesa dei rinforzi provenienti dalla costa e che includevano cavalleria e 10 elefanti inviati da Massinissa, re della Numidia. Tre giorni dopo la sconfitta, grazie alla perseveranza e alla disciplina, le armate romane erano pronte e riprendere l’offensiva. Nobilio attaccò Numanzia, e quando la battaglia sembrava in dubbio, lanciò gli elefanti contro la cavalleria celta. Appio descrisse così questa seconda battaglia; ” I Celtiberi e la loro cavalleria, che non avevano mai visto gli elefanti prima di allora, furono travolti e fuggirono verso la città. Nobilio avanzò un’altra volta verso le mura della città, dove la battaglia infuriava ferocemente, fino a quando uno degli elefanti fu colpito sulla testa da una grande pietra. Questo divenne selvaggio, barrì fortemente, rigirò verso i romani e cominciò a distruggere ogni cosa che incontrava sulla strada, senza distinzione tra amico e nemico. Gli altri elefanti, eccitati dai barriti, tutti insieme fecero lo stesso, calpestando i romani, disperdendoli qui e li.”
I celti riuscirono ad uccidere tre elefanti. Poi, sfruttando la confusione tra i ranghi romani causata dai giganteschi animali, i celti contrattaccarono uccidendo 4.000 soldati di Nobilio, catturando molte armi e stendardi, perdendo solo 2.000 dei propri uomini.

Incoraggiati dal loro secondo successo a Numanzia, i celti attaccarono e travolsero la guarnigione romana ad Ocilis (Medinaceli), dove era acquartierato il quartier generale di Nobilio, lasciando Nobilio virtualmente tagliato fuori dalla costa. Polibio descrive nel dettaglio come Nobilio si ritirò verso il suo campo invernale di Gran Atalaya e come i suoi uomini soffrirono la mancanza di cibo, le malattie e il freddo.
Nel 152 a.C., Nobilio fu sostituito da Claudio Marcello. La situazione era così disperata che il Senato diede una speciale dispensa a Marcello giacché questo potesse prestare servizio come console, anche se erano passati solo tre anni dal precedente incarico, troppo poco tempo per la legge romana tra i consolati. Le tensioni della guerra in Spagna stavano forzando le leggi della repubblica romana verso la strada dell’interesse militare, e nel futuro verso il dispotismo militare.
Tra il 151 e il 150 a.C. S. Sulpicio Galba sconfisse i Lusitani e con la scusa di una divisione di terre, né disarmò e massacrò 10.000 senza distinguere tra donne e bambini.
Marcello risultava avere maggiore esperienza e capacità di comando rispetto a Nobilio, e rapidamente sottomise i celti della valle del fiume Jalon. Con la morte di Caros, ed avendo subito pesanti perdite, i celti erano pronti a venire a patti con i romani. Mentre Marcello parlamentava con i celti, inviava lettere private al Senato, esortando alla pace. Gli ambasciatori delle tribù dei celti delle valli dei fiumi Duero e Jalon furono inviati a Roma per discutere i termini del trattato. In accordo con Appio, comunque, il Senato rifiutò di discutere i termini con gli “arroganti barbari” che avevano rifiutato di accettare “i termini della pace” dall’armata d’invasione di Nobilio. Il Senato decise di raccogliere un’altra armata., e ancora una volta la guerra con i Celtiberi stabilì un nuovo precedente. Perciò, per la prima volta nella storia di Roma, fu istituita la leva e i soldati furono scelti ed assegnati a sorte. Lucio Licinio Lucullo fu nominato console, e suo luogotenente fu scelto Publio Cornelio Scipione l’Emiliano, il figlio di Emilio Paolo (Paolo aveva battuto il re di Macedonia Perseo). Per i successivi dieci anni, le guerre contro i celtiberi furono in un precario stallo. Marcello rimase sgomentato dall’intransigenza del Senato e ignorò i loro ordini sul proseguimento della guerra. Marcello marciò verso i cancelli di Numanzia ancora una volta ed informò i celti che un nuovo esercito romano era in marcia per una nuova offensiva; ciò indusse i Celti ad accettare i suoi termini, che includevano il pagamento di 600 talenti in argento.
Lucullo, scoprendo che Marcello aveva perso l’opportunità per il bottino e la gloria militare, invase i territori delle tribù celte neutrali dei Vaccai e pose sotto assedio la città di Cauca (Coca). Quando gli abitanti della città chiesero la pace, Lucullo domandò il pagamento di tributi, la consegna di ostaggi e l’insediamento di una guarnigione perenne romana. Disperati, i celti accettarono le richieste di Lucullo. Lucullo, successivamente, procedette ad uccidere tutti gli uomini della tribù, e Cauca divenne la scena di stupri, saccheggi e caos.

Quando Lucullo cercò di proporre un trattato alle altre tribù celte a Intercatia e Pallantia, le notizie del suo tradimento lo avevano anticipato, e il suo esercito trovò una fiera opposizione in tutti i luoghi. Appio poco simpaticamente raccontò le dure prove di Lucullo: ”[I celti] gli rimproveravano la strage dei celti a Cauca e gli chiedevano se li invitava per lo stesso genere di promessa che aveva dato a quelle tribù. Egli, come tutte le anime colpevoli, era in collera con i suoi accusatori ed invece di rimproverarsi, devastava i loro campi”. Non volendo ripetere l’esperienza di Nobilio, Lucullo si ritirò con il suo esercito nella Spagna Ulteriore per trascorrere l’inverno.
Il capo dei Lusitani Viriato organizzò altre tribù celte per riprendere la resistenza armata. Nel 147 a.C., egli si scontrò con il governatore romano Caio Vetilio in una battaglia campale a Tribola. Vetilio fu ucciso e per i romani si risolse con una schiacciante sconfitta. Viriato incontrò e sconfisse C. Plaucio in Carpetania nel 146, Claudio Unimano, governatore della Citeriore, C. Nigidio nel 145. Alla fine, nel 142 a.C. dopo l’ultimo passo indietro, Roma inviò un nuovo esercito consolare al comando di Quinto Fabio Massimo l’Emiliano, che mise in rotta l’esercito di Viriato grazie al peso dei numeri. Viriato si ritirò a Baicor (Baecula).
Viriato sapeva che doveva cercare nuovi alleati se voleva che la guerra contro Roma avesse possibilità di successo. Siccome i particolari dei suoi appelli e delle sue ambascerie a Numanzia e verso la città sorella di Termanzia erano sconosciute, Viriato riuscì a convincere i celti della valle orientale del Duero a rinunciare al trattato di Marcello e ottenne rinforzi contro gli odiati romani.
Ripetutamente, mentre i romani devastavano la Celtiberia, Viriato e i suoi alleati tennero lontani i romani dai loro tentativi di assediare le città chiave o distruggere le armate celte. I consoli romani Quinto Pompeo e M. Papilio Lenao lanciarono una nuova offensiva per impadronirsi di Numanzia. Il generale Caio Ostilio Mancino partì per la città con 20.000 uomini nel 137 a.C., solo per vedere il suo intero esercito arrendersi ed essere costretto a capitolare. Invece di massacrare i romani, i celti di Numanzia garantirono a Mancino termini generosi; egli fu liberato con l’intero esercito sotto una bandiera di tregua, promettendo che i romani avrebbero lasciato in pace i celti. Il Senato romano ripudiò il trattato di Mancino lasciando lo sfortunato generale, nudo e vincolato alla mercé dei celti. I celti furono senza dubbio confusi per lo strano regalo e, a loro onore, rifiutarono di accettare Marcello come loro prigioniero dopo aver promesso di risparmiarlo.
Q. Servilio Cepio in fine intrappolò Viriato. Sotto un’intensa pressione esercitata da due potenti armate consolari (forse otto legioni più numerosi ausiliari, oltre 80.000 uomini), Viriato cercò di trattare un’onorevole pace con i romani. E’ ironico che i romani che avevano una volta deriso i Cartaginesi per la loro “fede punica” (tradimento e disonore), in mezzo ai negoziati essi stessi corruppero un traditore celtico per assassinare Viriato. Nel 135 a.C. l’opinione pubblica a Roma richiedeva che i celti spagnoli fossero domati e che la guerra celtibera (che era già durata oltre 45 anni senza risultati) fosse conclusa. Per risolvere la questione, il Senato mandò Scipione l’Emiliano (il terzo Scipione che combatteva in Spagna), conquistatore di Cartagine. Scipione, che aveva lasciato la Spagna dopo aver servito sotto il comando di Lucullo, ritornò nel 134 a.C. trovando gli eserciti romani decimati e demoralizzati. Egli iniziò immediatamente a addestrare le sue truppe e ricostruendo i loro ranghi con sostituzioni. Scipione si rese conto che fino a quando Termanzia e Numanzia fossero state basi sicure per le operazioni militari dei celti, le province romane non potevano essere sicure. In conformità, egli stabilì quale priorità l’isolamento di Numanzia.
Scipione si rese conto che nessun assedio di Numanzia avrebbe avuto successo perché il terreno accidentato e le difese naturali intorno alla città rendevano difficoltoso un tentativo di accerchiamento. Quindi, escogitò un meraviglioso stratagemma: il suo esercito usò cataste come preliminare passo per circondare rapidamente Numanzia la prima notte dell’investimento. Egli poi diresse le sue legioni per accerchiare la città con terrapieni alti dieci piedi e con torri ogni dieci piedi. A contrafforte del muro furono posti strategicamente sette campi romani, i resti dei quali sono ancora visibili oggi. Il suo assedio iniziò nell’Ottobre del 134 per terminare nell’estate del 133 con la distruzione della città.

Scipione aveva 60.000 uomini, ma solo 20.000 erano legionari, il resto mercenari iberici. Scipione escogitò un ingegnoso sistema di segnali che combinava l’uso di fuoco e specchi, così che ogni campo o torre potesse avvisare istantaneamente se un attacco dei celti fosse cominciato.
Scipione era consapevole inoltre, che i celti utilizzavano il fiume Duero per portare rinforzi durante la notte cosicché egli costruì torri su ogni lato del fiume. Da ognuna di queste torri fu collegato una rete di corde e legname fissati con coltelli e punte di lancia, rappresentando un ostacolo impossibile da superare per ogni nuotatore o celta imbarcato.
A questo punto, emerse un altro capo celta (un uomo chiamato dai romani Rectugeno Caranius, forse perché collegato a Caros). Superiori per circa sei a uno, i capi celti fecero una sortita per provare a infrangere le fortificazioni romane che diventavano ogni giorno più robuste.

Rifiutando di sottomettersi ai romani, Rectugeno e cinque dei suoi compagni più vicini e i loro domestici (una forza di circa 15 uomini) progettarono di attraversare le difese dei romani durante la notte, radunando rinforzi e attaccando Scipione nel tentativo di portare soccorso agli affamati abitanti di Numanzia. Rectugeno scelse una notte nebbiosa per provare ad attraversare con la sua piccola banda di guerrieri. Il capo celta e i suoi compagni sorpresero le guardie romane prima che questi potessero dare l’allarme, e poi i loro servi li aiutarono a far attraversare ai cavalli il fiume Duero usando un ponte portatile. Questa impresa non raggiunse il suo obiettivo prioritario, giacché molte delle tribù vicine erano state sconfitte o pagate dai romani e rifiutarono di aiutare in quanto consideravano la causa senza speranza.
Una banda di giovani celti da Lutia audacemente si offrì di cavalcare insieme a Rectugeno, ma un traditore nel campo dei celti comunicò le loro intenzioni a Scipione. Quattrocento Lutiani furono catturati, e Scipione tagliò loro le mani quale monito per tutti coloro che osavano brandire le armi contro Roma.
Rectugeno non figura tra le descrizioni storiche dell’assedio di Numanzia, forse fu ucciso in azione mentre fuggiva verso ovest. L’ultimo capo di Numanzia, chiamato Avarus dai romani (probabilmente una derivazione latina dal celtico Aobharrach) andò da Scipione e gli chiese una resa onorevole.

Saputo allora che i celti erano ricorsi a masticare cuoio ed anche a pratiche di cannibalismo, Scipione insistette che essi si sottomettessero alla deditio (resa senza condizioni). Secondo Appio, quando Avarus ritornò a Numanzia con questi severi termini di pace, gli abitanti uccisero subito lui e i cinque ambasciatori perché “ essi erano selvaggi nel carattere ed erano abituati a libertà assoluta e completamente non abituati ad ubbidite agli ordini di altri”.
Evidentemente molti membri dell’aristocrazia celta promisero un suicidio di massa piuttosto che la sottomissione ad una brutale ed umiliante schiavitù sotto i romani. Ma non tutti i celti di Numanzia si uccisero. Appio racconta:” Il resto si riunì il terzo giorno nel luogo di appuntamento, uno strano e scioccante spettacolo. I loro corpi erano sporchi, i loro capelli e le unghie lunghe ed essi erano sporchi di immondizia. Emanavano orribili odori e i vestiti che indossavano erano nello stesso modo squallidi ed emettevano un eguale cattivo odore. Per questa ragione, essi sembravano commoventi perfino ai loro nemici. Nello stesso momento, c’era qualcosa di terribile nell’espressione dei loro occhi, un’espressione di rabbia, dolore, fatica e la consapevolezza di avere mangiato carne umana.”
Scipione risparmiò 50 prigionieri di Numanzia per il suo trionfo a Roma, vendendo i rimanenti come schiavi. L’antica cittadina celta con i suoi luoghi, case e arte sacra, furono rasi al suolo. I resti di questa arte possono essere oggi visti nel Museo Numantino di Soria. La modesta colonia romana che sorse sulle rovine di Numanzia non eguagliò mai precedente città celta.
La caduta di Numanzia non pose fine alla storia dei celti in Spagna. Per più di 100 anni, fino al 18 d.C., le rimanenti tribù celte indipendenti della Spagna e i Baschi Iberici continuarono a resistere al potere di Roma, fino alla definitiva sottomissione sotto l’impero di Augusto. Ma il sogno della libertà per i celti subì un colpo mortale perché la perdita di Numanzia, come la presa della fortezza giudea di Masada nel 73 a.C., incarnava la perdita della speranza di resistere a Roma.

Bibliografia:

Osprey – R. Trevino/A. Mc Bride: Rome’s Enemies 4: Spanish Armies
Almena – J. A. Alcaide/f. Vela: 1000 anos de ejercitos en Espana
Einaudi – AA.VV.: Storia di Roma
Almena – J. Alcaide/D. Cueto: Los mercenarios espanoles de Hannibal
Archeo – Monografie: Spagna (3/2000)
Electa – AA.VV.: Hispania Romana (catalogo della mostra)

Alcuni soldatini del periodo:

-Viriatus: Capo Lusitano 155-138 a.C. – cod. 54A001
-Viriatus: Guerriero Lusitano 155-138 a.C. – cod. 54A002
-Viriatus: Guerriero Lusitano 155-138 a.C. – cod. 54A003
-Andrea Miniatures: Guerriero Iberico 125 a.C. – cod. SGF53
-Beneito: Velita 211 a.C. – cod. MV36
-De Tara: Guerriero Celtibero – cod. T5408
-Beneito: Guerrieri Iberici I° sec. a.C.
-Il Feudo: Fanteria Pesante Celtibera 216 a.C. – cod. L5405
-Pegaso: Velita III sec. a.C. – cod. 54078