La Colonna di Traiano – parte XV
21 Novembre 2007Il Cannone del Gianicolo – B. Normanno
22 Novembre 2007Dobbiamo dire, innanzitutto, che, una volta tanto, questa immagine idealizzata corrisponde quasi perfettamente all’ideale romano che, come possiamo desumere da molte rappresentazioni coeve, specialmente da quelle a carattere più spiccatamente propagandistico, tendeva a rappresentare il legionario proprio in tal guisa.
Nella realtà, tuttavia, le cose stavano in maniera un po’ diversa, se non altro per l’esigenza di adeguare l’abbigliamento al mutare delle condizioni climatiche e anche perchè è impensabile che in mille anni di storia l’abbigliamento del soldato romano sia sempre rimasto il medesimo a dispetto dell’evoluzione tecnologica e delle mode (foto a sinistra “Tunica tardo-imperiale con maniche lunghe e decorazioni – Mosaici della Villa del Casale di Piazza Armerina).. In ogni caso, è da tenere assolutamente presente che, a differenza di oggi, non esisteva, a quei tempi, un vero concetto di “uniforme”; i soldati dovevano solo provvedere a dotarsi di un armamento simile a quello dei loro commilitoni per essere ordinatamente schierati all’interno di una particolare unità ed essere utilmente impiegati in battaglia nell’ambito del loro ruolo specifico.
Sulla base delle raffigurazioni scultoree e dei pochi reperti tessili che ci sono pervenuti, si è inclini a ritenere che la tunica dei legionari romani, invariabilmente lunga sopra al ginocchio, fosse in origine di linea molto semplice: tagliata in forma rettangolare, in molti casi, anche se non sempre, del tutto priva di maniche e stretta alla vita con una cintura.
La tunica, per questi motivi, era spesso “abbondante”: il tessuto che eccedeva, in questi casi, poteva essere trattenuto con un nodo sulla schiena, sotto il collo, in modo da lasciare più libertà nei movimenti durante i duri lavori campali dei soldati (foto a destra “Tuniche tardo-imperiale con maniche lunghe e decorazioni – Mosaici della Villa del Casale di Piazza Armerina”).
Nel tardo impero anche la tunica, come l’armamento, cedette alle mode straniere e le rappresentazioni scultoree e musive iniziano a mostrarci comunemente tuniche a maniche lunghe che, con ogni probabilità, erano sempre esistite ma che non venivano rappresentate in quanto non conformi al gusto tradizionale.
Molto si è scritto a proposito dei colori delle tuniche dei soldati romani, senza giungere però a conclusioni certe; sulla base delle poche fonti a disposizione, tuttavia, le tinte più probabili sembrano quelle del tessuto grezzo (quindi bianco sporco o beige) o del rosso ruggine; non possiamo certo escludere, tuttavia, che venissero adoperati anche altri colori, anche diversi tra loro nell’ambito di una singola unità. Dopo il periodo di dominante cultura greco-etrusca, le tuniche dei soldati repubblicani e del primo impero sono sempre raffigurate del tutto disadorne; sulle tuniche militari, strisce e rosoni colorati iniziano a comparire solo dal III sec. d.C. in poi.
Il rimedio che i Romani adottavano comunemente in caso di climi freddi era quello di vestire più tuniche una sopra l’altra; questa abitudine assumeva, probabilmente, un significato ancora maggiore in campo militare, dove una buona imbottitura sotto la corazza poteva rivelarsi più efficace nell’assorbire i colpi (foto a sinistra “Cavalieri con sagum e brache – Roma, Colonna Traiana”).
I soldati romani adoperavano mantelli di foggia diversa.
Il mantello militare più semplice era il “sagum”, di forma rettangolare e fermato con una spilla sopra la spalla destra; era considerato l’indumento militare per eccellenza tanto che l’imperatore Marco Aurelio cercò, per un certo periodo, di bandirlo perchè considerato eccessivamente “militaristico”.
Di forma più particolare era la “paenula”, di forma semicircolare e abbottonato sul petto; questo mantello è spesso rappresentato sui monumenti indosso a legionari e pretoriani, ma anche a ausiliari (foto a destra “Stele funeraria di legionario con cingulum doppio – Bonn, Rheinisches Landesmuseum”).
Il “paludamentum”, infine, era riservato agli ufficiali; era anch’esso di forma rettangolare ma veniva fissato alla spalla sinistra e si portava elegantemente drappeggiato attorno al braccio sinistro.
Componente essenziale dell’abbigliamento del militare era il cinturone, detto “cingulum” , cui veniva appesa la daga e, fino al I sec. d.C., anche il gladio, che venne in seguito portato a tracolla, appeso a un balteo.
Il “cingulum”, associato alla spada, era un segno distintivo dello “status” di militare in quanto veniva indossato dal soldato anche senza la corazza in quella che oggi chiameremmo “uniforme di servizio”.
Fu singolo o doppio fino a quando dovette sostenere anche il gladio, poi solo singolo; era normalmente in cuoio, riccamente impreziosito da borchie metalliche, in bronzo ma anche in argento; le borchie erano sbalzate, smaltate o decorate a niello.
Nei primi due secoli dell’impero, era decorato, sul davanti, con pendenti, a loro volta impreziositi da borchie metalliche e da pesanti terminali a volte snodati; si ritiene che tali pendenti avessero una minima funzione difensiva della zona inguinale ma che avessero un ruolo più che altro psicologica in quanto tintinnavano a ogni passo del militare (foto a sinistra “Cingulum decorato – Inghilterra).
In talune rappresentazioni scultoree, i soldati romani sembrano indossare, sotto il cinturone, una fascia ventrale di stoffa che, probabilmente, serviva a evitare che il peso del “cingulum” potesse rovinare il tessuto della tunica (foto a destra “Stele funeraria di un legionario con sagum e tunica – Mainz, Mittelrheinisches Landemuseum”).
Sotto la corazza e sopra la tunica, i soldati romani erano soliti indossare una sciarpa (“focale”); questa non serviva a proteggere dal freddo ma era necessaria a evitare il contatto diretto tra il collo del “miles” e il metallo della corazza che, in quel punto, si sovrapponeva alla tunica foto a sinistra “Stele funeraria di un ausiliario con tunica e paenula – Bonn, Rheinisches Landesmuseum”).
L’uso dei pantaloni (“bracae”) era considerato, dagli scrittori della Roma repubblicana, da barbari e da effeminati; per proteggere le gambe dal freddo si usavano, tradizionalmente, fasce di tessuto avvolte attorno alle gambe.
Sta di fatto che anche i pantaloni, importati dai Celti, conobbero, soprattutto nell’esercito, una rapida diffusione, sempre più estesa in periodo tardo-imperiale; dal I sec. d.C. in poi, sempre più numerose sono le sculture che ritraggono cavalieri e legionari con pantaloni lunghi fino a metà polpaccio, probabilmente non sempre in tessuto ma anche in pelle .
Sulla base dei rilievi, in particolare, si ha ragione di ritenere che l’uso delle “bracae” si sia diffuso, prima che tra i fanti, tra i cavalieri, i quali, non essendo quasi mai cittadini romani, le adottarono con entusiasmo probabilmente non tanto per proteggersi dal freddo quanto per lenire i problemi derivanti dalla continua frizione delle gambe contro la sella (foto a destra “Ausiliari con focale – Roma, Colonna Traiana”).
Nessuna calzatura militare è forse tanto famosa quanto le “caligae”, da sempre associate al soldato romano; queste scarpe, che combinavano la economicità con la robustezza e la praticità, non erano, nonostante il loro aspetto, dei sandali, ma piuttosto degli scarponcini chiodati che tuttavia, essendo dotati di molte aperture, permettevano un buon comfort, specialmente se indossate sopra a calzini di lana, abitudine della quale esistono testimonianze scultoree.
La parte superiore era tagliata da un pezzo unico di cuoio, cui venivano aggiunte una suola superiore e un sottosuola chiodato; le borchie erano disposte secondo uno schema preciso, che poteva variare ma che era sempre idoneo a garantire il migliore sostegno plantare (foto a sinistra “Caliga indossata con calzini o fasce – Roma, Rilievo della Cancelleria ai Musei Vaticani”).
Non si sa quando le “caligae” apparvero esattamente, dato che, nelle poche immagini di cui si dispone, i legionari repubblicani sono sempre rappresentati a piedi nudi; si sa per certo, tuttavia, che, a dispetto della loro fama attuale, abbiamo prove certe dell’uso delle “caligae” in un arco di tempo solo prossimo ai duecento anni; perdiamo infatti le loro tracce alla fine del II sec. d.C., quando vennero soppiantate da altri tipi di calzature, meno austere ma, forse, di più semplice realizzazione.