Ufficiale del 13° Lancieri Bengala
23 Ottobre 2010Chassuer à cheval de la garde della Metal Modeles
16 Novembre 2010Un nuovo gladiatore dagli amici della Pegaso. Abbandonata oramai la scala in 54 e dediti solo alla 75 (per me che mi sto cecando, una manna ……) questo pezzo presenta la oramai consueta e consolidata pulizia nella scultura (di Viktor Konnov) e nella fusione che ha reso la Pegaso famosa.
Il pezzo si assembla facilmente ed è pronto subito alla pittura.
Provate ad affrontare, se non lo avete mai fatto, un 75. La ricchezza dei particolari, la superficie più estesa rendono la pittura un momento di estasi creativa. E talvolta gli elementi più piccoli che nel 54 sono semplicemente abbozzati (magari creando anche frustazione nel pittore più inesperto) qui sono evidenti e chiari. Più grande non vuole dire più difficile, anzi.
Nel mondo romano, i giochi gladiatori combinavano la lotta con lo spettacolo e lo spettacolo della morte con il denaro. Gli anfiteatri sparsi per tutto l’impero (si calcola che ce ne fossero almeno 250) e simbolo della sua grandezza, sono stati i luoghi dove prigionieri di guerra, schiavi e criminali venivano consegnati a una morte sicura solo per intrattenere il pubblico, ma anche uomini liberi divennero gladiatori di propria volontà, attirati dalla possibilità di guadagno o solo per vivere emozioni forti. Erano concepiti come luoghi dove mettere in scena la morte, ma anche luoghi dove venivano ricreate in grande stile le più importanti vittorie militari romane, spettacolari battaglie navali, o i miti del pantheon romano. Il combattimento gladiatorio era l’occasione per mostrare una delle qualità più importanti per la loro morale, la virtus morendo “da romani”. L’equipaggiamento dei gladiatori era pensato non per essere funzionale o efficiente nella lotta contro l’avversario, ma straordinario dal punto di vista estetico. I gladiatori erano suddivisi in classi di combattimento e le varie classi erano incrociate nei combattimenti in maniera funzionale allo spettacolo. Il nostro gladiatore, un Mirmillone (in latino: murmillo, myrmillo o mirmillo) per peso, equipaggiamento e stile di lotta, può essere considerato un “carro armato” della gladiatura. Il suo nome derivava dal mormylos , un pesce marino, oggi sconosciuto, e per tale motivo il suo elmo era decorato con scene marine o di combattimento e la cresta aveva la forma di una pinna. L’elmo raffigurato proviene dal dalla Caserma dei gladiatori di Pompei e raffigura Roma vittoriosa, barbari sottomessi e cataste di armi e due Vittorie alate. I mirmilloni erano poi equipaggiati con un largo, pesante scudo rettangolare ricurvo, il classico scutum imperiale, molto simile a quello in dotazione ai legionari romani; questo scudo schermava l’intero corpo, ad eccezione del volto e delle gambe, queste ultime protette da un solo schiniere (ocrea). Portavano, come unica arma d’attacco una corta spada, il gladio, normalmente legata ad un polso tramite un laccio per evitare di perderla durante il combattimento. Le gambe e un braccio erano protette da una imbottitura. Il subligaculum, il pantaloncino era legato intorno alla vita, passando tra le gambe. La spessa cintura, il balteus, completava il tutto. Durante la lotta, il mirmillone si teneva al riparo dietro il vasto scudo, esponendo solo volto e gambe, a loro volta corazzate, scostando lo scudo solo per brevi attacchi con il gladio. Da questo punto di vista il mirmillone era per l’avversario una fortezza inespugnabile, di fronte; l’unica possibilità, per il suo nemico, spesso il più agile traex, era trovare il modo di attaccarlo lateralmente, facendo affidamento sulla relativa lentezza del mirmillone.
Marco Colombelli