Le Stellette – B. Normanno
22 Novembre 2007Alarico – M. Colombelli
22 Novembre 2007Questo interesse non sfuggì agli occhi degli aristocratici e soprattutto degli imperatori i quali, per imbonirsi le masse, si prodigarono per offrire spettacoli sontuosi immortalati nei versi degli scrittori latini del tempo: Svetonio, Tito Livio, Giovenale, Marziale ed altri ancora. L’imperatore Traiano arriverà ad offrire festeggiamenti con 10.000 gladiatori. Con la ricerca di spettacolarità aumentarono anche le spese necessarie per organizzare i giochi a tal punto che il Senato si trovò costretto a regolamentarne lo svolgimento con rigide leggi che riguardavano sia la loro organizzazione, sia le somme da destinarvi. Gli spettacoli potevano essere offerti a spese dello Stato, organizzati dai magistrati allo scopo preposti, Edili, Duoviri, Pretori ai quali era affidata la cura ludorum, o da privati previa autorizzazione del Senato, o ancora con la partecipazione di entrambi. I giochi, naturalmente, si diffusero in tutto l’impero romano.
“Panem et circenses”, scrive Giovenale nel I secolo dopo Cristo, sono le cose che più interessano ai romani: distribuzione gratuita di cibo e spettacoli pubblici.
LE ORIGINI DEI LUDI GLADIATORI
Il ritrovamento di alcune decorazioni parietali in tombe a Capua e a Paestum in Campania, fanno risalire con molta probabilità l’origine dei munera (dono votivo, tributo, offerta funebre) alle popolazioni sannitiche. A Roma arrivarono nel III secolo A. C., qui giunti attraverso gli Etruschi. Il primo munera in Roma, si svolse nel 264 a. C. presso il Foro Boario. I combattimenti erano organizzati in occasione dei funerali di personaggi illustri o per la loro commemorazione, a spese dei familiari, allo scopo di immolare vittime agli Dei.
Il crescente interesse che questo genere di spettacoli riscosse praticamente in ogni ceto sociale, trasformò, come abbiamo detto, la loro originaria valenza religiosa in giochi veri e propri (munera gladiatoria). La loro popolarità divenne tale che anche l’oggettistica di uso quotidiano risentì di questa nuova passione (vasellame, mosaici ecc.).I combattimenti si svolgevano in prossimità delle tombe dei defunti da commemorare o nelle piazze dei Fori, ma questi spazi ad un certo punto non furono più sufficienti a soddisfare le richieste della popolazione che sempre in maggior numero assisteva ai munera. Questo comportò necessariamente la costruzione di edifici adatti allo svolgimento degli spettacoli. Gli architetti concepirono perciò delle costruzioni estremamente funzionali allo scopo: gli anfiteatri (theatron = spazio destinato agli spettatori, e amphi = che corre tutto intorno), dapprima in legno poi in muratura. Il più famoso e il più grande di tutti fu l’Anfiteatro Flavio (il Colosseo) a Roma, i cui lavori di edificazione iniziati sotto l’imperatore Vespasiano nel 72 d. C., furono terminati dal figlio Tito nell’80 d. C., che per l’inaugurazione offrì giochi che durarono 100 giorni con notevole impiego di gladiatori e animali.
Ottanta ingressi (vomitoria) numerati consentivano l’accesso a circa 50.000 spettatori paganti, i più fortunati usufruivano di tessere per l’ingresso gratuito. La cavea, era divisa in settori riservati alle varie fasce sociali. Uomini e donne non potevano assistere insieme ai giochi, alle donne erano riservate le gradinate più in alto dell’anfiteatro.
I GLADIATORI
I gladiatori (da gladio = spada) erano per lo più prigionieri di guerra, schiavi, liberti, criminali condannati a morte, ma anche uomini liberi che, attratti dalla possibilità di enormi guadagni, decidevano di diventare gladiatori (auctorati). Scarse notizie si hanno circa le donne che scendevano nell’arena. Questi uomini appartenevano al lanista (impresario), il quale traeva il proprio profitto affittandoli per gli spettacoli. Il prezzo variava a seconda della qualità dei combattimenti e al grado di preparazione fisica richiesta. L’editor si impegnava inoltre al risarcimento di quei gladiatori che fossero morti nel combattimento.
Vivevano in apposite caserme, dove formavano delle familiae gladiatoriae, che oltre agli alloggi avevano una piccola arena per gli allenamenti svolti con gli istructores (allenatori). A Roma esistevano quattro caserme: il Ludus Dacicus, il Ludus Gallicus, il Ludus Matutinus (dove risiedevano i venatores e i bestiararii , gladiatori specializzati nei combattimenti con animali) e il Ludus Magnus le cui rovine, vicine al Colosseo, sono ancora oggi visibili.
La tradizione popolare e la cinematografia classica ci hanno rappresentato i combattimenti come qualcosa di estremamente truculento e dall’esito sempre mortale, ma la realtà doveva essere sicuramente ben diversa visti i costi sostenuti per mantenere e allenare i morituri, e ancor più per i costi sostenuti dagli editores per offrirli al pubblico. E’ perciò probabile ritenere che la loro morte nell’arena non fosse così frequente, eccezione fatta per quei combattimenti denominati munera sine missione cioè all’ultimo sangue, la folla che accorreva per vedere i propri beniamini ne voleva poter ammirare la bravura e la prestanza fisica. Nei mosaici rappresentanti le pugnae (combattimenti) compaiono sovente scritti i soprannomi dei gladiatori, questo a significare l’affezione del pubblico durante tutta la carriera dei propri campioni. I più famosi arrivarono a combattere circa quaranta volte nell’arena. La loro prestanza fisica inoltre non sfuggiva alle nobildonne romane, meritandosi l’appellativo di suspiria puellarum. Un episodio che ben sintetizza il fanatismo dei sostenitori verso i propri idoli è dato dalla rissa che scoppiò nel 59 a. C. nell’anfiteatro di Pompei tra “tifosi” locali e nocerini. Gli incidenti iniziati durante un combattimento tra gladiatori, provocarono morti e feriti cosicché lo stadio fu squalificato per 10 anni.
LE CATEGORIE
Non tutte le classi gladiatorie sono esistite contemporaneamente, alcune scomparvero già in età repubblicana come i Samnites, altre si
modificarono come i Galli poi Murmillones, altre ancora come i Thraeces giunsero immutate sino all’età imperiale. Il vestiario era diverso a seconda della classe di appartenenza. Attraverso le fonti storiche a disposizione si possono identificare all’incirca una dozzina di categorie, non condivise però tra tutti gli studiosi, non essendo a volte facile legare i nomi con le iconografie a disposizione. Il perizoma (subligalicum), la cintura (balteus), l’elmo (galea), la protezione metallica per il braccio (manica), gli schinieri per proteggere le gambe (ocreae e cnemides), facevano parte del vestiario di uso comune a tutte le categorie.
Ecco le più note:
Thraeces: portavano un elmo a tesa larga sormontato da un cimiero a forma di grifone e ornato di piume, una manica al braccio destro, un piccolo scudo (parma) una spada ricurva (sica) e alte protezioni alle gambe (cnemides);
Retiarii: ispirati al Dio Tritone, avevano una placca metallica a protezione della spalla sinistra (galerus), erano privi di elmo, armati di tridente, rete e una corta spada;
Murmillones (o Myrmillones): simili ai Traci si differenziavano da questi per avere un pesce (murmo) sull’elmo al posto del grifone, un grande scudo rettangolare ed una spada dritta (gladio), ocrea alla gamba sinistra;
Provocatores e Secutor: simili tra loro avevano un elmo ovoidale liscio per impedire la presa della rete del Reziario, loro antagonista nell’arena, un pettorale in cuoio con al centro una testa di gorgone in metallo, schiniere sulla gamba sinistra e bende in stoffa (fasciae) in quella destra, scudo e spada;
E poi ancora: Oplomachi che usavano un grande scudo (hoplon), Essedari che combattevano su carri (esseda), Sagittarii che usavano arco e frecce, Equites che, armati di lancia, combattevano a cavallo, Dimachaerus che combattevano con due spade, Velites armati di giavellotto, Laquearius armati di lazo (laqueus) con il quale cercavano di strangolare l’avversario. Di altre si conoscono solo i nomi.
Le coppie nell’arena erano determinate in base al tipo di armamentario che ogni categoria aveva, le armi di offesa e di difesa dovevano bilanciarsi con quelle dell’avversario. Una categoria a parte era formata dai Venatores che si cimentavano contro le belve (venationes), questi gladiatori di solito avevano solo una tunica e armi di offesa.
Questi giochi, la cui origine viene fatta risalire al centinaio di elefanti che Scipione l’Africano portò a Roma dopo aver sconfitto Annibale, mostrati alla folla nel Circo Massimo e poi abbattuti perché non era più possibile mantenerli, richiedevano una organizzazione molto complessa e dispendiosa che riguardava la cattura degli animali, richiesti sempre in quantità maggiore, il trasporto in città, luoghi per la loro stabulazione (vivarium) il mantenimento e misure di sicurezza all’interno dell’arena per evitare incidenti agli spettatori. Alte reti con alla sommità zanne d’elefante rivolte verso l’arena e rulli per impedire agli animali di arrampicarsi, poste tutt’intorno alla cavea e arcieri proteggevano gli spettatori da eventuali pericoli.
LO SPETTACOLO
L’organizzatore dei giochi (editor o se a Roma il Procurator imperiale), rendeva noti alla cittadinanza mediante iscrizioni sui muri delle case, il motivo per cui offriva il munera, i nomi dei gladiatori che sarebbero scesi nell’arena e la loro specializzazione, in oltre precisava se avrebbero avuto luogo aspersioni profumate (sparsiones), distribuzione di cibo o denaro, se nel circo era previsto il velarium a protezione della calura o della pioggia e se lo spettacolo prevedeva anche le venationes. La sera prima veniva offerto un banchetto (coena libera) dove i cittadini potevano incontrare da vicino i gladiatori.
I giochi cominciavano di mattina e seguivano un cerimoniale prestabilito: un corteo rituale (pompa) rendeva gli onori alle autorità o all’Imperatore se presente. Aprivano lo spettacolo le venationes (se in programma), che si protraevano fino all’ora di pranzo. Queste cacce potevano prevedere lotte tra uomini e animali o tra animali anche legati tra di loro. Complesse scenografie riproducevano ambienti esotici o mitologici. Nell’intervallo avevano luogo le esecuzioni dei condannati a morte, molto gradite dal pubblico, dove persone inermi venivano fatte sbranare dalle fiere (damnatio ad bestiam) o immolate nei modi più barbari, crocifisse, arse vive e così via. Alla ripresa pomeridiana avevano luogo i ludi gladiatores veri e propri. Un combattimento con armi inoffensive serviva al riscaldamento dei gladiatori. L’editor dava quindi inizio ai combattimenti tra le urla della folla entusiasta e il baccano dei musici che accompagnavano lo svolgersi dei giochi. I primi gladiatori a scendere nell’arena erano gli equites. Più coppie si affrontavano contemporaneamente (gladiatorum paria). Se qualche gladiatore non si batteva con sufficiente impegno, veniva sollecitato a colpi di frusta (lora) dai loraii presenti nell’arena.
La vita del gladiatore sconfitto dipendeva dall’editor, il quale valutava l’impegno messo nel combattimento ascoltando gli umori del pubblico presente e tenendo conto delle spese sostenute per l’affitto dei gladiatori e che per questo spesso graziava. In ginocchio davanti al vincitore, lo sconfitto attendeva il verdetto offrendo la gola e la propria spada, se si era battuto male la folla gridava: “iugula” (sgozzalo), se si era battuto alla pari riceveva la grazia (missio) con il famoso pollice levato in alto. I morti venivano portati in una sala denominata spoliarum attraverso la porta libitinaria da inservienti mascherati da Caronte. Al termine il vincitore riceveva la palma della vittoria oltre a doni preziosi. Ma il premio più ambito era la spada di legno (rudis) che significava la fine della carriera e quindi la riconquistata libertà.
Con il declino dell’impero e il Cristianesimo che portò cambiamenti nei costumi della società, questo genere di divertimento era destinato ad aver fine, l’ultimo spettacolo di gladiatori si ebbe nel 438 d. C., vietati definitivamente dall’imperatore Valentiniano III, dopo fasi alterne il sipario calò così anche sul Colosseo, nel 523 d. C. si svolsero le ultime venationes.
BIBLIOGRAFIA
“Il Colosseo” – Enzo Manzione – Roma 1982
“Giochi e spettacoli” vita e costumi dei romani antichi – Danila Mancioli – Roma 1987
“Sangue e arena” – AA. VV. – Venezia 2001