I Parà della “FOLGORE” nei combattimenti a sud di Roma – F. De Petrillo

12TH. SS Panzerdivision “HITLERJUGEND” – F. De Petrillo
19 Dicembre 2007
Il Milite Ignoto – G. Coglitore Garufi
6 Gennaio 2008
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I Parà della “FOLGORE” nei combattimenti a sud di Roma – F. De Petrillo

Quei paracadutisti, in parte vecchi soldati che non avevano accettato l’ignominia dell’8 settembre, in parte ragazzi che avevano abbandonato i banchi del liceo o le aule universitarie per accorrere a difendere l’onore d’Italia, erano arrivati al fronte da pochi giorni ed erano stati immediatamente inviati a chiudere le brecce provocate dalla ritirata dei tedeschi.
L’ultima difesa di Roma era stata affidata a quei giovani; un compito di grande impegno che essi assolsero con disciplina e spirito di sacrificio, in tutto degni dei camerati che li avevano preceduti al fronte (un Battaglione NEMBO di formazione, tratto dal loro stesso Reggimento, il Battaglione BARBARICO della Xª MAS – comandante Barcielli, il Battaglione Degli Oddi della Legione SS italiana, gli artiglieri inquadrati nella Flak, i piloti dei mezzi d’assalto della Xª , gli aerosiluranti del capitano Faggioni).
Il 28 maggio il Reggimento FOLGORE, che sotto la guida di istruttori tedeschi aveva appena concluso l’addestramento a Spoleto (un certo numero di allievi era andato a fare i lanci in Germania alla Scuola Paracadutisti di Friburgo), era stato assegnato come unità di riserva tattica a sostegno del 1° Corpo paracadutisti (generale Schlemm), formato dalla 4ª Divisione Fallschirmjäger (colonnello Heinz Trettner), dalla 65ª di fanteria e, in un secondo tempo, dalla 3ª Panzer.
I volontari italiani erano circa 1.400, divisi in tre battaglioni, il terzo dei quali, l’AZZURRO, comandato dal capitano Alfredo Bussoli, aveva svolto il corso lancistico a Tradate, nel Varesotto, dove il tenente colonnello dell’Aeronautica Edvino Dalmas aveva creato dal nulla un’efficiente scuola di paracadutismo, coadiuvato da alcuni tra i migliori istruttori di Tarquinia e di Viterbo.
Il 30 maggio i ragazzi del Reggimento ebbero i primi contatti con il nemico che da una settimana, dopo il crollo del fronte di Cassino, convinto di avere ormai via libera verso la capitale, aveva ripreso l’offensiva.
Il piano alleato prevedeva un attacco inglese a sinistra della Nettunense con le Divisioni di Fanteria 1ª e 5ª (quest’ultima aveva sostituito la provatissima 56ª) rinforzate dal 46° ROYAL TANK Reggiment e appoggiate, nel settore di giunzione, dalla 45ª Divisione USA, e un attacco americano a destra della Nettunense con il VI Corpo comprendente le Divisioni di Fanteria 45ª, 3ª, 34ª, e 36ª, oltre alla 1ª Corazzata.
I tedeschi, dal canto loro, schieravano tre Divisioni di Fanteria, 65ª 362ª e 715ª ,la 4ª Paracadutisti, la 3ª e la 29ª Panzergranadier e la 26ª Panzer. Più a nord, in difesa dell’Appia e della Casilina, era schierata la Divisione HERMANN GOERING.
Obiettivo dell’offensiva alleata era la conquista, da parte americana, di Cisterna, sull’Appia, e la successiva occupazione di Cori, Giulianello, Artena e Valmontone per bloccare sulla Casilina la Xª Armata tedesca in ripiegamento da Cassino. Cosa che non riuscirà, in quanto Clark, comandante della Vª Armata, pur di assicurarsi notorietà, preferì lanciare i suoi reparti alla conquista di Roma anziché impiegarli al raggiungimento di uno scopo strategico che avrebbe messo in crisi i tedeschi.
Agli inglesi toccava un compito più modesto; l’avanzata da sud, lungo la direttrice Ardea – Pomezia – Castel di Decima – Campo Jemini – Pratica di Mare – Castel Porziano.
Essi pensavano di poter travolgere con facilità le ultime difese tedesche e di precedere gli americani nell’entrata a Roma. Ma si sbagliavano di grosso perché i vuoti provocati dal ripiegamento delle divisioni germaniche vennero colmati dall’intervento dei tre battaglioni di paracadutisti italiani che bloccarono la loro avanzata.
Primi a muoversi, la mattina del 23 maggio, furono gli americani che sferrarono attacchi sia verso Aprilia sia verso Cisterna investendo i reparti tedeschi e i battaglioni italiani BARBARIGO e Degli Oddi, entrambi alle dipendenze della 715ª Divisione. I marò della Xª e i legionari SS schierati a sud del fronte, si coprirono di gloria, al costo di forti perdite.
A causa dell’instabilità della situazione, l’impiego iniziale della FOLGORE avvenne in modo frammentario e dispersivo sul vasto campo di battaglia che andava dai Colli Albani al mare. Il Battaglione AZZURRO fu dispiegato tra Pavona e Cecchina (la 10ª Compagnia del tenente Ortelli si scontrò con reparti americani della 3ª Divisione ai limiti del territorio di competenza del 1° Corpo Paracadutisti) e fu poi inviato a Casal di Leva, Travica di Mare e infine ad Acilia, mentre il 1° Battaglione (maggiore Mario Rizzatti) e il 2° Battaglione (capitano Guglielmo Recchia) vennero frazionati sulla Laurentina e l’Ardiatina per appoggiare la ritirata della 4ª Divisione Fallschirmjäger.
Scontri con la 45ª Divisione USA e con reparti inglesi avvennero nelle zone di Presciano, Zolfatara, Carroceto, Acqua Buona, Buon Riposo, Vaiarello, Scalette, Pescarella, Pomezia, Pratica di Mare, Castel Porziano.
Nei pressi di Carroceto la 6ª Compagnia (tenente De Santis) riuscì, con un’audace azione, a catturare un’intera compagnia di americani del 157° Reggimento, rimasti di stucco nell’apprendere che c’erano soldati italiani che combattevano ancora nonostante lo sfacelo dell’8 settembre.
Presso Pomezia l’8ª Compagnia (tenente Cosentino) attaccò con somma audacia un intero reggimento blindato.
In località Fosso dell’Acqua Buona avvenne il sacrificio della 7ª Compagnia del tenente Ferretto. La mattina (del 3 giugno venne dato l’ordine al reparto di riconquistare una posizione abbandonata la sera prima dai tedeschi e di tenerla almeno fino al pomeriggio. Un compito assai arduo poiché si trattava di percorrere sotto il fuoco nemico un terreno scoperto, in salita. Ferretto predispose l’attacco e i ragazzi attaccarono fuori dagli improvvisati ricoveri, arrivarono in cima alla collinetta, impegnarono gli inglesi all’arma bianca e li costrinsero alla resa. Il prezzo pagato fu molto alto, innumerevoli gli atti di valore, decine i morti (tra i caduti, il diciassettenne Ferdinando Camuncoli, Medaglia d’Oro).Nel pomeriggio si scatenò il contrattacco nemico, con largo impiego di artiglieria e di mortai. Solo pochi superstiti riuscirono a ripiegare verso Pomezia; tutti gli altri, morti, feriti, o prigionieri (Foto a Lato: Paracadutisti della Folgore all’interno della caserma Garibaldi a Spoleto, primo centro di formazione dei reparti paracadutisti della R.S.I. dopo l’armistizio).
Dalla sera di quel 3 giugno i tre battaglioni del FOLGORE furono destinati a difendere un tratto ben definito del fronte: sedici chilometri da Castel Porziano ad Acilia e da Castel di Decima a Malpasso.
Contro il reggimento erano schierate le Divisioni britanniche 1ª e 5ª appoggiate da reparti di supporto.
Accaniti combattimenti si accesero nella zona di Castel Porziano difesa dal 2° Battaglione; nel settore di Infernetto dove erano appostati circa 70 paracadutisti dell’AZZURRO al comando dei sottotenenti Dessi e Marani Tassinari, che quando gli altri reparti ripiegarono, si sacrificarono in azioni di guerriglia; ad Acilia e sull’Ostiense dove si batterono alla disperata i ragazzi della 10ª Compagnia con i tenenti Ortelli e Camesasca.
Ortelli, scomparso nella mischia e creduto morto, fu decorato di medaglia d’oro al valore. In realtà, dopo essersi difeso allo stremo e aver visto cadere accanto a sé decine di paracadutisti, dopo che gli inglesi avevano dato alle fiamme un campo di grano dove si era rifugiato, aveva tentato di sfuggire alla cattura avviandosi a piedi verso Roma, ma era stato scoperto da una pattuglia nemica e fatto prigioniero.
L’ultimo atto della disperata difesa della capitale ebbe per scenario, il 4 giugno 1944, la tenuta Vaselli a Castel di Decima dove il 1° Battaglione affrontò e respinse gli Sherman del 46° ROYAL TANK REGGIMENT. Nei duri combattimenti persero la vita numerosi paracadutisti, veterani di guerra e giovanissimi volontari. Morì anche, meritando anche la medaglia d’oro, il loro comandante maggiore Rizzatti, colpito dalla mitraglia di un carro contro il quale si era avventato per scoperchiarne la torretta e fermarne l’avanzata a bombe a mano (Foto a Lato: Il maresciallo G. Canova, caduto ila giugno 1944 nella zona di Ardea, durante l’estrema difesa di Roma).
Massimo Rava, portaordini diciassettenne, che aveva voluto seguire il suo comandante, cadde accanto a lui.
Quello, per i parà, fu un momento estremamente critico, ma l’intuito, la prontezza, l’audacia del vicecomandante del Battaglione, capitano Edoardo Sala, riuscirono a capovolgere la situazione.
Intervenuto con il nucleo di riserva (60 uomini), Sala centrò con un Panzerfaust il primo Sherman, poi, al riparo di un muro a secco, risalì la colonna dei carri e ne colpì un secondo che, rovesciatosi su un fianco, bloccò la stretta strada di campagna.
Galvanizzati dal successo, i paracadutisti presero a bersagliare la colonna nemica con raffiche di mitragliatrici e lanci di bombe a mano, scompaginandola e catturando gli equipaggi dei carri.
Ma quella splendida vittoria servi solo a ritardare di parecchie ore l’avanzata inglese. Ormai la situazione precipitava ed era arrivato il momento di ritirarsi e cercare di far traghettare il Tevere al maggior numero possibile di paracadutisti. Una decina di essi, con i tenenti Caporiccio e Cundo, rimasero come estrema retroguardia all’incrocio della strada Tor de’ Cenci – Spinaceto e si batterono per tutto il pomeriggio retrocedendo via via sino all’E.42.
La difesa di Roma era costata alla FOLGORE 113 morti, 120 feriti, 709 dispersi, molti dei quali presi prigionieri non avendo potuto ripassare il Tevere. A questi vanno aggiunti i caduti e i feriti del Battaglione NEMBO incorporato nella 4ª Divisione tedesca, sicché sale a 1.100 il totale complessivo delle perdite subite dai paracadutisti italiani nella Pianura Pontina.
Tutto era cominciato il 22 gennaio, allorché fra Torre Astura, Tor san Lorenzo e il porto di Anzio erano sbarcate due divisioni alleate, la 3ª americana e la 1ª britannica, rinforzate da reparti di carristi, rangers, paracadutisti e commandos.
Era l’inizio dell’operazione SHINGLE (Tegola) voluta da Churchill per aggirare la Linea Gustav, il cui cardine era Cassino, difesa con i denti dai tedeschi. I G.I. e i tommies non trovarono alcuna resistenza, fecero prigionieri i pochi soldati del presidio e si inoltrarono indisturbati per la campagna (Foto a Lato: Paracadutisti italiani e fallschirmjäger dei 4° Reggimento in una posizione a Bosco dei Pini, sulla Moletta, nella zona del fronte di Nettuno).
La strada per Roma – una sessantina di chilometri, era totalmente sgombra, ma il prudentissimo generale Lucas, comandante del VI Corpo alleato, temeva di cadere in una trappola e preferì far trincerare le truppe nella testa di ponte per attendere l’arrivo delle divisioni di riserva.
Fu un errore madornale che trasformò l’operazione pittorescamente definita da Churchill “gatto selvatico” in “balena arenata” e costò a Lucas la sostituzione con il più energico e combattivo capo della 3a Divisione, generale Truscott.
Una settimana dopo lo sbarco iniziale, c’erano nella testa di ponte 70 mila uomini, 450 cannoni e circa 400 carri armati. Ma era ormai troppo tardi per una facile avanzata: Kesselring, con la prontezza di reazione e la capacità strategica che lo distinguevano, aveva saputo organizzare un’eccellente difesa, facendo, dapprima, accorrere reparti tra i più disparati, dei quali prese il comando il maggiore dei paracadutisti Walter Gericke, e trasferendo poi nella Piana Pontina alcune grandi unità che costituirono la XIV Armata, alla testa della quale fu messo il generale von Mackensen.
Tra i reparti affluiti al fronte, nel settore della Moletta, c’era anche il Battaglione di formazione NEMBO comandato dal capitano Corrado Alvino e composto da trecento dei paracadutisti italiani che si trovavano in addestramento a Spoleto.
Inquadrati nella 4ª Divisione tedesca, i trecento del NEMBO, divisi in sei plotoni al coniando dei tenenti Stefani, Betti, Esposito, Angelini, Fusarfoli e maresciallo Tomasi Canova, presero parte alla controffensiva del 16 febbraio.
Tutti erano consapevoli che dal loro comportamento sarebbe derivato il riscatto morale delle Forze Armate italiane, la cui immagine era stata gravemente compromessa dall’armistizio badogliano.
Destinati alla prima ondata d’assalto, i paracadutisti guadarono la Moletta con passerelle di fortuna e cominciarono ad avanzare verso le posizioni della 56ª Divisione inglese. Presi sotto un fuoco d’infilata, ebbero numerose perdite, ma continuarono ad andare avanti senza esitazione, espugnando, uno dopo l’altro, i bunker nemici.
Dei comandanti dei plotoni, cadde il tenente Stefani e rimasero gravemente feriti i tenenti Betti ed Esposito, al quale dovette essere amputata una gamba. Sembrava che l’attacco stesse per dare risultati sorprendenti, ma l’intervento dei cannoni della flotta americana e i bombardamenti aerei impedirono l’afflusso dei rinforzi e annullarono ogni possibilità di spingere a fondo l’azione.
Il NEMBO subì perdite altissime (151 uomini tra morti e feriti) e fu ridotto a una compagnia, la Nettunia-Nembo, che, dopo un mese di riposo ad Ardea, tornò in linea e continuò a combattere fino alla caduta di Roma lasciando dietro di sé una lunga storia di eroismi.
Il 3 marzo arrivò al fronte anche il BARBARICO della Xª che venne schierato tra Canale Mussolini, Borgo Piave, Carreto Alto, Gorgolicino, Borgo Sabotini, Terracina, lago di Fogliano, dando vita a una dura guerra di trincea e lasciando sul terreno, in tre mesi di combattimenti, oltre 200 morti.
Ancora più pesanti furono le perdite del Battaglione Degli Oddi, giunto in aprile e inserito nel Kampfgruppe Diebitsch: 300 morti su un totale di 650 uomini.
Azioni belliche nel mare e nel cielo di Anzio furono compiute dai piloti dei mezzi d’assalto navali della Xª, partiti dalla base di Fiumicino, nonché dai piloti del Gruppo Aerosiluranti del pluridecorato capitano Carlo Faggioni, il quale perse la vita il 10 aprile, allorché il suo trimotore, centrato dalla contraerea, si incendiò e si inabissò al largo.
L’aereo pilotato dal tenente Sponza, anch’esso colpito, fu invece costretto ad ammarare e il pilota venne fatto prigioniero. In quell’azione morirono anche il capitano Valerio e il suo equipaggio. L’ufficiale era riuscito a portare il suo S.M.79 fuori della zona dello scontro, ma l’aereo si schiantò nel tentativo di un atterraggio di fortuna.
Dell’apparecchio di Faggioni non si trovò nulla. Il berretto dell’eroico pilota galleggiante sull’acqua, fu recuperato dagli americani e consegnato, qualche tempo dopo, a un altro degli audaci aerosiluratori, il capitano/medaglia d’oro Giulio Cesare Graziani, che, nonostante il suo stretto grado di parentela con il maresciallo ministro della Difesa della RSI, era schierato con l’Aeronautica del sud. E Graziani conservò quel berretto intriso di sangue come si conserva una reliquia.

REGGIMENTO ARDITO PARACADUTISTI “FOLGORE” – R.S.I.

Al “tutti a casa” di quel tragico 8 settembre 1943 si ribellarono solo pochi reparti per merito indiscusso di Comandanti che seppero valutare immediatamente la situazione e agire di conseguenza, veri soldati dell’onore che vollero anteporre ai loro interessi più evidenti quelli più elevati della Nazione, degli Italiani tutti, del prestigio e dell’onore delle armi italiane.
Questi reparti furono, fra gli altri: in Sardegna il 12° Btg. paracadutisti “Nembo” del Magg. Mario Rizzatti ed in Calabria il 3° Btg. “Nembo” del Cap. Edoardo Sala.
Motivazione della ribellione di Rizzatti: “il suo onore di soldato e di uomo non gli permetteva di deporre le armi e di stare ad attendere il nemico che aveva combattuto durante tutta la guerra ed inoltre perché nessuno potesse dire che gli italiani erano tutti vigliacchi”.
Cadrà in combattimento nella difesa di Roma nel giugno 1944, Medaglia d’oro al V.M.
Il Cap. Sala alle ore 22 del 9 settembre lasciava al suo superiore, Magg. Massimino, questo messaggio: “…il nemico non deve avere le nostre armi e noi le portiamo in salvo perché alla Patria possono ancora servire e la nostra fede e la nostra vita anche. “Per l’onore d’Italia.”
L’ultima frase, riportata poi su una fascia nera cucita sulla manica dei Suoi ragazzi, assurgerà poi a simbolo collettivo di fede per tutte le FF.AA. della R.S.I.
Queste le origini del Reggimento. Con migliaia di giovani e giovanissimi volontari e militari di altre armi affluiti al centro raccolta di Tradate fino alla fine del conflitto, esso combatterà valorosamente ad Anzio e Nettuno, alla difesa di Roma e sulle Alpi Occidentali.
Si arrenderà onorevolmente alle forze americane solo il 6 maggio 1945,a St. Vincent (Aosta).
Per brevità si riportano qui due soli particolari giudizi sul Reggimento Folgore che ne compendiano un po’ lo spirito, l’essenza.
Nella fase dibattimentale del processo di Torino del 1947 a carico del Comandante Sala il PM in aula aveva dovuto riconoscere quel reggimento come “un corpo di volontari, scelti, sicuri, animati di sincero amor di Patria, disciplinati …il reparto più fiero e disciplinato della R.S.I.”. Una simile ammissione in un processo (?) del 1947, quando i giudici dovevano condannare comunque, pena la loro incolumità personale!
Dal diario del Cap. Massimo Ghelardi, internato nel campo di concentramento di Coltano, non paracadutista: “Tra tutte le specie di prigionieri che affollano il campo, la mia decisa preferenza va ai paracadutisti del “Folgore”. Gli ufficiali sono tutti soldati di primissimo ordine che tra gli atri meriti sono riusciti a forgiare dei ragazzi che, in fatto di disciplina, di entusiasmo, si spirito di corpo e di sacrificio destano l’ammirazione di chiunque li avvicini, li osservi e ci parli”.
Il Reggimento “Folgore” si identifica nella figura del suo Comandante, succeduto al Magg. Rizzatti quando cadde in combattimento il 4 giugno 1944 a Castel Decima, ossia il Comandante Edoardo Sala.

COMANDANTE EDOARDO SALA
Ferito 2 volte nella guerra di Spagna, Croce di Guerra, medaglia d’argento e medaglia di bronzo, croce di guerra spagnola
Alla difesa di Roma: medaglia d’argento e Croce di Ferro Germanica.
Questo il suo medagliere.
Non è facile in questa sede tracciare un esauriente profilo del mitico Comandante Sala. Fra gli innumerevoli scritti apparsi su tutti i giornali “nostri” per la sua morte (1998) stralciamo le parole di Aldo Giorleo, suo paracadutista e Direttore del “Secolo d’Italia”.
“Addio, Comandante Sala, la comare secca, come tu romanticamente chiamavi la morte, è venuta a trovarti e tu ti ricongiungi a Rizzatti, a Ortelli, a Botola, a Capozzo, ai ragazzi. Serrate le fila, il Reggimento si va ricomponendo e noi siamo qui, attoniti, a salutarti per l’ultima volta. A ricordare il tuo grande amore per la Patria , li tuo coraggio, le tue capacità di capo. A Castel di Decima, caduto Rizzatti, il “Folgore” stava per essere travolto, ma tu riuscisti a capovolgere la situazione e a infliggere un duro colpo all’arroganza britannica. Avevi soltanto 32 anni e un passato di combattente più volte ferito e pluridecorato e per noi diciottenni eri un esempio da imitare, una sorta di mito.
Si può pensare che un Comandante dei parà valoroso in guerra debba essere un duro, un Rambo poco incline ai sentimenti. Niente di più falso. Edoardo Sala era un uomo dall’animo gentile, di raffinata cultura, un artista, un poeta, capace di commuoversi dinnanzi a un tramonto, di rischiare la vita per salvare un animaletto ferito.
Ma era anche un uomo dai principi irremovibili, dal carattere fiero. Lo si vede quando, da vinto, seppe imporsi ai vincitori, i quali non poterono nascondere la loro ammirazione per quel giovane Maggiore che anteponeva la sicurezza dei suoi ragazzi e l’onore del reggimento a ogni personale interesse. “Rispondo io per i miei soldati” disse a color che lo giudicavano, gnomi al cospetto d’un gigante con sul petto i nastrini azzurri del valore, accusato di “eccesso di senso dell’onore”:
Addio, dunque, Comandante. Il reggimento si va ricomponendo, tra non molto saremo di nuovo tutti in riga, ai tuoi ordini. E vogliamo sperare che siano ancora dei giovani che, qualche volta, si ricordino di noi”.
Scrisse anni fa il Comandante ad uno dei Suoi ragazzi:
“…trovo nei tuoi pensieri il calore dei sentimenti di mezzo secolo fa ed ancora di più mi appare oggi segnata con un “gene” straordinario quella schiera di giovani che lasciò il “branco” sommerso e partì verso l’ignoto spinta da un istinto atavico più forte dell’istinto di conservazione. Forse siamo arrivati in pochi al di là dello stagno che si stendeva davanti a noi anche dopo la battaglia, ma bastano pochi esemplari perché la mutazione salvi la specie”.