Jus Primae Noctis – Bruno Normanno
25 Ottobre 2007Lo scudo e la Città di Roma – M. Giuliani
25 Ottobre 2007Nel campo fiorentino-spagnolo la situazione era leggermente migliore, l’esercito guidato dal Marignano operava, tutto sommato, in territorio amico; da Arezzo per esempio arrivarono il 31 luglio 70 muli carichi di pane già confezionato.
La Battaglia di Scannagallo
Scaramucce si accendevano tra i reparti avanzati, impegnati nell’impedire all’avversario il movimento e, cosa fondamentale, l’andata all’abbeverata di uomini e cavalli. La stagione era secca, non pioveva da 40 giorni, il caldo torrido e il problema maggiore era quello di garantire ogni giorno acqua da bere per le migliaia di uomini accampati sulle colline riarse; a lungo andare la situazione generale volgeva a sfavore dei franco-senesi: Piero Strozzi lamentava la scarsità di zappatori di cui invece avrebbe avuto estremo bisogno per i necessari lavori di sterro e fortificazione, inoltre l’organizzazione logistica era affidata al caso e alla buona volontà dei sottoposti con la conseguente penuria di rifornimenti alimentari: il grano ammassato nei giorni precedenti a Lucignano non poteva essere macinato perché nella guerra di scorreria intrapresa dai senesi questi si erano accaniti nella distruzione dei mulini di Val di Chiana e ora, costretti all’immobilità sotto Marciano, purper sfamare la gente in armi. La distanza da Siena complicava ulteriormente il servizio di spola tra il comando di Piero Strozzi e la città per cui anche il denaro necessario alle paghe dei soldati scarseggiava e le soldatesche, in gran parte composte di mercenari irrequieti, cominciavano a ribollire di rabbia reclamando i denari arretrati. I soldati più esasperati tentavano la diserzione passando da un campo all’altro.
Questa situazione ormai insostenibile e la cronica mancanza d’acqua costrinsero Piero Strozzi alla ritirata verso Lucignano, la decisione era improvvida: ritirare un esercito in vista del nemico, in pieno giorno, era un azzardo pazzesco dal punto di vista militare, comunque, alla mezzanotte tra il primo e il 2 di agosto, fra le tende dell’accampamento franco-senese, giunse l’ordine di ritirata di Piero Strozzi; il campo franco-senese era mezzo addormentato o, almeno, gli uomini cercavano di riposare nelle poche ore di frescura concesse dal clima torrido di quei giorni. Una volta giunto l’ordine i capitani delle compagnie mandarono i loro subalterni a svegliare gli uomini, facendoli armare, levare le tende, fare insomma i bagagli e tutti quei preparativi che, febbrilmente, facevano i soldati impegnati ora a togliere il campo. Il capitano senese Cornelio Bentivoglio ebbe da Piero Strozzi un po’ di uomini per distrarre l’attenzione del nemico durante la manovra di ripiegamento, sempre ardua con gli eserciti schierati a poca distanza uno dall’altro: probabilmente lo Strozzi riteneva che il Marignano non avrebbe osato sfidarlo a battaglia, così come era già successo un mese prima a Pescia e a San Vivaldo.
Sul fronte opposto, nel campo fiorentino-spagnolo, Gian Giacomo Medici tenne i suoi soldati in stato di allarme per tutta la notte. Certamente si vedevano muovere fuochi nel campo nemico e, le orecchie più acute, avranno udito le voci dei soldati e gli ordini dati in francese, tedesco e italiano dai capitani impegnati a zittire gli uomini, i versi delle bestie caricate dei bagagli: muggiti di buoi, nitriti di cavalli e infine ragli, dei muli, asini e somari mossi a furia di bastonate dai loro conducenti. I soldati del campo fiorentino, una volta allertati, furono fatti armare e schierati per compagnie, pronti a marciare ed affrontare il nemico se questi avesse dato segno di attaccare. Un combattimento notturno era sempre temuto nonostante la prassi guerresca dell’epoca vi ricorresse spesso. La frescura notturna divenne per qualche tempo più pungente e la notte cominciò impercettibile a schiarire, il buio della notte trascolorò lentamente in quell’incerto chiarore dove l’ombra svanisce e gli uomini poterono vedere il viso di chi avevano accanto, riconoscendo il compagno non più solo dalla voce. Seduti sulla terra, appoggiati alle picche, le armi al piede e le micce finalmente accese senza il timore di essere rimbrottati dai caporali, gli uomini cominciarono a discernere nella prima luce del giorno le colline davanti al loro sguardo. Sulle colline di fronte l’esercito nemico era in movimento, le picche delle compagnie ondeggiavano al passo dei soldati che marciavano spediti lasciando le posizioni dove erano schierati la sera prima. Lungo il crinale delle colline l’esercito franco-sense stava marciando verso Villa del Pozzo, Foiano e Lucignano. Visto l’evolversi inaspettato della situazione il Marignano decise di mandare i cavalli all’abbeverata nella Chiana e ordinò ai fanti di riposare un poco nelle tende, lasciando all’erta le sentinelle.
La giornata del 2 agosto: Scannagallo
Alle 10 del mattino,con il sole già alto sulla Val di Chiana, l’esercito di Piero Strozzi stava ritirandosi di collina in collina: in testa, ormai verso Foiano, erano i carriaggi con artiglieria e salmerie; all’avanguardia sventolavano le bandiere di soldati italiani e senesi, seguiti dai francesi; venivano poi le formazioni schierate a battaglia dei tedeschi e quella dei Grigioni, la cavalleria accompagnava la fanteria sul lato sinistro di questa, avanzando nella pianura tra le colline e il corso della Chiana, in terreno adatto per la manovra della cavalleria.
Alla stessa ora, fatti levare i fanti, Il Marignano dette ordine di battere l’allarme sui tamburi a tutte le compagnie e, per primi, mandò avanti Lorenzo de Figueroa con 2.000 archibugieri spagnoli incaricati di infastidire la retroguardia dei franco-senesi, marciando con il grosso in attesa che la cavalleria tornasse dall’abbeverata sulla Chiana. I fiorentino-imperiali marciarono per circa un’ora seguendo i franco-senesi, dietro gli archibugieri venivano altri spagnoli agli ordini di Francisco de Haro, dietro la battaglia di fanti Tedeschi; la retroguardia era composta dai fanti italiani comandati del conte di Popoli, circa 4.000 toscani, Napoletani, e i 3.000 inesperti Romani di Camillo Colonna, chiudevano la marcia 3 sagri. La cavalleria leggera fiorentino-imperiale seguiva le orme di quella franco-senese nella Chiana mentre gli uomini d’arme, la cavalleria pesante, avanzava tra quella leggera e le fanterie.
Alla luce piena del giorno apparve chiaro che la manovra di sganciamento di Piero Strozzi non era riuscita, il suo esercito si trovava in un situazione critica che lo costringeva ad accettare battaglia, decise pertanto di fermare i suoi sul Poggio delle Donne, vicino alla Villa del Pozzo, e ordinare le truppe in formazione di combattimento sulle colline circostanti, schierando le fanterie in buona posizione rialzata oltre il fosso di Scannagallo. Da destra a sinistra stava schierata la cavalleria franco-senese, circa un migliaio di cavalli, comandati dal giovane Lodovico Pio conte della Mirandola, portabandiera e capitano della cavalleria, e da Lodovico Borgonovo detto Righetto del Campana, alfiere maggiore, posti sulla destra delle fanterie, in posizione leggermente rialzata. Sul pendio oltre il fosso di Scannagallo stavano, armi al piede, Georg Reckenrot, luogotenente generale dei tedeschi e Johann Torech, colonnello di 3.000 lanzichenecchi schierati contro gli spagnoli di Francisco De Haro. Dietro i lanzi era la formazione dei 3.000 fanti dei Grigioni; al loro fianco, al centro dello schieramento, stavano i 1.500 fanti guasconi comandati da Valleron, e altri 1.500 francesi del barone di Fourquevaux. Sul lato sinistro 5.000 fanti italiani sotto il comando di Paolo Orsini, il conte di Caiazzo e dei due fratelli Bentivoglio. Lo schieramento era forte, solidi quadrati di picchieri con sui fianchi archibugieri e fanti armati di rotella e spada.
Anche il Marignano fece fermare i suoi e schierò le sue truppe in ordine di battaglia. Sull’ala sinistra, al margine delle colline dove il letto della Chiana si allargava nella pianura, erano schierati i 600 uomini della cavalleria leggera sotto il comando del conte Sforza di Santafiora, luogotenente del Marignano, insieme ad altri 600 cavalleggeri del conte di Nuvolara, capitano della cavalleria leggera imperiale; Marcantonio Colonna guidava invece lo squadrone di 300 uomini d’arme, uomini protetti da armatura completa armati di lancia: la cavalleria pesante. Il Marignano dispose le fanterie in formazione di battaglia sulla linea Anasciano-Poggio al Vento, un po’ arretrate sulla sponda sinistra del fosso di Scannagallo: la fanteria spagnola di Francisco de Haro, circa 2.000 uomini, veterani di Sicilia e di Napoli tenevano il fianco sinistro, insieme ai soldati spagnoli e le reclute corse di don Lorenzo Juarez de Figueroa. La formazione di centro, a una distanza di 60 passi dagli spagnoli di Figueroa e de Haro, era costituita dalla battaglia di 4.000 lanzi tedeschi comandati dal colonnello Niccolò Mandruzzo, colonnello imperiale. Sul lato destro dello schieramento, comandato dal conte di Popoli, stavano 4.000 fanti toscani, seguiti alle loro spalle da altri 2.000 fanti di Juan Manrique, in terza fila i 3.000 romani di Camillo Colonna. Come riserva, dietro le fanterie italiane, era una compagnia di 200 soldati spagnoli reduci dalle guerrre d’Ungheria e una compagnia di archibugieri a cavallo napoletani. La poca artiglieria schierata dal Marignano fu piazzata in batteria dietro le fanterie, più in alto di queste sulla collina e leggermente spostata verso il lato sinistro dello schieramento mediceo-imperiale: in tutto due mezzi cannoni e due sagri, pronti a scaricare i loro proiettili sulla massa dei fanti nemici.
Verso le undici del mattino il marchese di Marignano decise di saggiare la resistenza della cavalleria nemica: la cavalleria leggera mediceo-imperiale posta nella pianura cominciò a muovere al trotto, passò il fosso di Scannagallo e caricò decisamente al galoppo le squadre di cavalleria franco-senesi, subito seguite dal trotto della massa dei 300 uomini d’arme di Marcantonio Colonna; la cavalleria franco-senese fu travolta da questa ondata di cavalleria pesante, le squadre si aprirono sotto l’urto massiccio degli uomini d’arme e Righetto del Campana, portabandiera della cavalleria franco-senese, volse il cavallo verso Foiano; i cavalieri francesi, vedendo fuggire la loro insegna principale, scompigliarono le righe e furono presto travolti dalla cavalleria mediceo-imperiale che, probabilmente, non si aspettava una fuga così improvvisa e disordinata dell’avversario per le vigne e i campi della pianura. Il successo imprevisto della cavalleria fu salutato da una salva delle batterie fiorentino-imperiali poste sulle alture alle spalle delle battaglie di fanteria, le prime palle caddero in mezzo alle fanterie franco-senesi mentre la cavalleria vittoriosa si lanciava all’inseguimento dei cavalieri francesi che galoppavano verso Foiano.
Piero Strozzi considerò preoccupato la piega negativa presa dalla battaglia: alla prima mossa del nemico aveva già perso tutta la cavalleria sull’ala destra, cosa che fece pensare seriamente al tradimento di Righetto del Campana; decise pertanto di riprendere in mano l’iniziativa, forzando la manovra e attaccando decisamente su tutto il fronte con le sue battaglie di fanteria.
Verso mezzogiorno del 2 agosto le fanterie tedesche sull’ala destra di Piero Strozzi cominciarono a scendere dalle colline lungo le piagge che portavano al fosso di Scannagallo, oltre il quale, immobili e assorti, gli spagnoli al comando di Francisco de Haro pregavano con fervore la Vergine e tutti i Santi verso cui ogni soldato era personalmente devoto. La discesa dalla collina di quella massa urlante di fanteria, le picche puntate contro i petti di ferro degli spagnoli, morioni e cabacetes al sole, fu travolgente: il fosso quasi asciutto di Scannagallo fu passato di corsa dai 3.000 lanzi che iniziarono a risalire correndo la cinquantina di metri oltre la sponda che li separava dal muro della fanteria spagnola. La polvere levata dallo scalpiccìo degli uomini si confuse a quella delle armi da fuoco che scaricarono finché fu possibile contro i tedeschi guidati da Johann Torech e Georg Reckenrot, quindi si venne all’urto e la mischia si fece feroce. Gli spagnoli delle prime file furono scavalcati e travolti in un urlìo feroce di voci che gridavano in lingua castigliana e tedesca, azzuffandosi e massacrandosi sul fianco della collina.
A questo punto, dal fianco destro degli spagnoli così duramente attaccati, entrò in combattimento il centro dello schieramento mediceo-imperiale: la battaglia di 4.000 lanzi tedeschi comandati da Niccolò Mandruzzo, questi caricarono a loro volta contro i tedeschi al soldo di Siena che ingaggiarono una mischia violenta a colpi di picca. In mezzo al tumulto l’artiglieria imperiale continuava imperterrita a sparare sulle fanterie nemiche e questo fuoco continuo di artiglieria bene indirizzato contro il centro dello schieramento franco-senese riuscì in parte a scompigliare le file dei soldati svizzeri dei Grigioni che, come tutta la linea dell’esercito di Piero Strozzi stava scendendo nel vallone, passando qua e là il greto riarso del fosso di Scannagallo. Lo slancio iniziale dell’attacco franco-senese stava venendo meno, colpi di artiglieria continuavano a piovere tra le file avanzanti al passo, sulla destra la mischia era già fitta e la confusione grande. Quando i capitani mediceo-imperiali videro che il fosso era stato passato dalle prime sette/otto file dei franco-senesi poterono discernere in viso le prime file di fanti che marciavano al passo veloce, le picche serrate fra i pugni, gli sguardi fissi verso di loro e le bocche aperte a gridare urla di guerra e improperi; allora dalle file della fanteria mediceo-imperiale si levò il grido di guerra: “Duca! Duca! Palle! Palle!”
Il Marignano aveva dato l’ordine di attacco generale alle sue fanterie e queste cominciarono a scendere il declivio, marciando al passo, quasi correndo incontro al nemico che si faceva sempre più vicino, nel frastuono sordo e crescente di scalpiccii, tintinnio di armi, urto di legni e di metalli sempre più accelerato; gli uomini gridavano, per incitare i compagni, per terrorizzare il nemico, per dare coraggio a se stessi, per stordire infine la mente in quella corsa contro le picche acuminate, le spade, il fuoco e il fumo degli schioppi. I fanti dei Grigioni che già erano stati martirizzati dall’artiglieria del Marignano cominciarono a sbandare; l’urto dei picchieri fiorentini e l’assalto a rotella e spada dei fanti mercenari napoletani di Manrique cominciò a produrre il panico tra le fila dei franco-senesi. A un certo punto, con strepito grandissimo, dal lato della Chiana apparvero caricando dalla polvere i 300 uomini d’arme di Marcantonio Colonna che, dopo aver inseguito per un tratto la cavalleria franco-senese di Righetto del Campana, erano tornati indietro per caricare alle spalle e di fianco i fanti dello Strozzi, ormai discesi completamente nel vallone e seriamente impegnati a difendersi dalle fanterie avversarie.
L’ordine di battaglia dello schieramento franco-senese era rotto: la cavalleria leggera franco-senese ormai lontana della mischia, era inseguita da quella mediceo-imperiale e, grazie alla fuga, si era salvata quasi al completo riparando dopo una corsa di svariati chilometri fino a Montalcino. I lanzi di Reckenrot e Torech erano stati presi di fianco dai tedeschi del Mandruzzo, i fanti svizzeri dei Grigioni schierati inizialmente dietro Torech e Reckenrot, erano facile preda della cavalleria pesante sbucata al loro fianco destro e venivano sbandati presi dal panico; restavano i francesi e guasconi di Valleron e Forquevaulx i soli a reggere l’urto del grosso delle fanterie mediceo-imperiali. Intrappolati sul greto del fosso di Scannagallo si batterono da prodi contro un nemico sempre maggiore e ormai soverchiante, le insegne cadevano una ad una, i francesi si rinserrarono in gruppi intorno ai loro capitani che levavano in pugno le bandiere, bersagliati dal tiro della moschetteria. Nel polverone sollevato dal movimento convulso di migliaia di uomini non era più possibile fare manovre o comprendere ordini: lo stesso Piero Strozzi aveva perso il cavallo e combatteva a piedi finché, dopo esser stato ferito tre volte da colpi di arma da fuoco, dovette cedere il comando a Clemente della Cervara, e fu portato via a braccia dai suoi fidi lontano dal campo di battaglia.
La battaglia era durata un paio d’ore, dalle 11 del mattino fino all’una, l’inseguimento invece durò fino al tramonto, chi non si era salvato con la fuga dopo la carica degli uomini d’arme resisté in gruppi isolati, Clemente della Cervara cadde al suo posto di comando colpito da 18 ferite e a notte, 4.000 uomini giacevano morti sul campo mentre altri 4.000 lamentavano ferite o erano stati fatti prigionieri dai fiorentino-imperiali. 500 Grigioni, 400 Francesi e 800 Tedeschi furono catturati insieme a Georg Reckenrot, Paolo Orsini, il conte di Caiazzo, un fratello di Cornelio Bentivoglio, Clemente della Cervara che morirà per le gravi ferite riportate. Gli uomini di Cosimo dei Medici raccolsero più di cento bandiere nemiche nel vallone di Scannagallo, comprese le verdi bandiere, ormai lacerate, con sopra scritto il nome della libertà fiorentina. I soldati di Cosimo dei Medici lamentavano perdite irrisorie rispetto al numero dei caduti di Piero Strozzi, solo tre ufficiali caduti e un massimo di 200 morti, caduti senz’altro nella prima mischia tra lanzi e spagnoli sull’ala destra verso la Chiana.
La battaglia di Marciano era vinta, il nome del fosso dove erano caduti combattendo i soldati francesi, chiamato dai contadini della zona Scannagallo, fu subito interpretato dai fiorentini quale nome profetico e con feroce sarcasmo accostato alla strage consumata da poche ore, così che la battaglia di Val di Chiana divenne per i fiorentini combattenti nelle file di Cosimo dei Medici la giornata di Scannagallo. In quel giorno i “Galli” erano stati scannati davvero ma con loro era caduta la speranza di sconfiggere i mediceo-imperiali e liberare Siena dall’assedio; la guerra si restrinse intorno a Siena e nelle piazzeforti ancora tenute in Maremma ma ogni capacità di azione offensiva da parte degli eroici senesi era stata infranta in Val di Chiana quella terribile giornata di agosto. Una futile curiosità, cara ai cabalisti, vuole che si noti la coincidenza casuale delle date: la Repubblica fiorentina era caduta dopo la battaglia di Gavinana il 2 agosto 1530 e sempre il 2 agosto, ma del 1537, gli esuli fiorentini guidati da Filippo e Piero Strozzi avevano patito la sconfitta di Montemurlo; il 2 agosto infine del 1554 fu Scannagallo.